L’assegno divorzile spetta alla ex moglie ultracinquantenne, anche se svolge un lavoro irregolare come colf, se ha sacrificato le sue aspirazioni lavorative per la famiglia e ha contribuito alla formazione del patrimonio familiare.
Secondo la decisione contenuta nell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 29627/2022, all’ex moglie spetta l’assegno di divorzio anche se svolge a più di cinquant’anni un lavoro irregolare come colf. La donna, riferisce la sentenza, avrebbe infatti rinunciato al lavoro di operaia in seguito ad una scelta concordata con il marito dopo il matrimonio, sacrificando le sue aspirazioni lavorative per dedicarsi alla famiglia e alla formazione del patrimonio familiare.
Assegno divorzile: la vicenda processuale
Al centro della vicenda processuale vi è un assegno divorzile pari a 270 euro che il Tribunale, nel giudizio di divorzio, aveva posto a carico dell’ex marito. L’uomo decide di impugnare la sentenza, tuttavia anche la Corte di Appello respinge l’appello e conferma la somma stabilita per l’ex moglie.
Ricorrendo allora in Cassazione, l’ex marito fa presente che l’assegno divorzile non è dovuto e contesta:
- la violazione dell’articolo 5 comma 6 della legge sul divorzio, dal momento che la corte ha fissato la somma di 270 euro in favore della moglie basandosi solo sulla differenza reddituale. L’uomo percepisce infatti una pensione di 1700 euro al mese mentre la moglie è titolare di introiti pari a 500 euro mensili, a cui va aggiunta la somma di 150/160 euro settimanali derivanti dal lavoro in nero come colf.
- la violazione della stessa norma anche perché il Giudice ha stabilito la misura dell’assegno divorzile sulla base di presunzioni prive di fondamento logico: l’ex moglie non solo svolge attività irregolare come colf, ma dispone di risparmi pari a 52.000 euro, di cui 22.347,00 euro corrispondenti al 50% degli accantonamenti familiari, divisi in sede di separazione.
- il fatto che la Corte abbia omesso di considerare che il reddito da lui percepito, pari a 1700 euro, va ridotto ad euro 1620,00 visto che paga a rate un impianto fotovoltaico, un’aspirapolvere e un impianto di allarme.
La Cassazione respinge il ricorso dell’ex marito: le motivazioni
La Corte di Cassazione, rifacendosi ai principi in materia di assegno di divorzio sanciti dalle Sezioni Unite (sentenza n. 18287/2018), respinge il ricorso dell’ex marito.
Ricorda infatti che ai fini dell’attribuzione della quantificazione dell’assegno divorzio deve tenersi conto delle risorse economiche di cui dispone l’ex coniuge più debole e se tali risorse siano sufficienti ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa ed una adeguata autosufficienza economica nonostante la sproporzione delle rispettive posizioni economiche delle parti.
Posto che l’assegno divorzile non deve più garantire lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio (ne avevamo discusso qui), i Supremi Giudici sottolineano la funzione perequativa o compensativa dello stesso se emerge che il coniuge meno abbiente ha sacrificato le proprie aspettative sia professionali che reddituali per dedicarsi alla famiglia in virtù di una scelta condivisa.
Secondo la Cassazione, dunque, il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi, avrebbero quantificato l’assegno divorzile in maniera adeguata, svolgendo anche una corretta valutazione della situazione economica di entrambe le parti. All’epoca del matrimonio, infatti, la donna aveva diciott’anni e dopo la separazione, avvenuta a distanza di 33 anni, lavora come colf irregolare visto che ha lasciato il lavoro di operaia per dedicarsi alla famiglia e ai tre figli. Situazione dalla quale si evince chiaramente come l’ex moglie abbia contribuito senza dubbio alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune in base una decisione concordata.
La sentenza inoltre ha stabilito il diritto dell’ex moglie all’assegno di divorzio definendo la sua situazione precaria come conseguente alla scelta condivisa con il marito di lasciare il lavoro da
operaia per dedicarsi alla famiglia. A definire il quadro reddituale complessivo, si aggiunge poi la mancanza di trattamento pensionistico e previdenziale e il fatto che la donna, a differenza del
marito, non sia titolare di nessun immobile. Anche sulla richiesta dell’ex marito di considerare le spese gravanti sul reddito da lui percepito, la Cassazione avvalla la sentenza della Corte d’Appello ritenendole frutto di scelte volontarie che non possono incidere sulla quantificazione dell’assegno divorzile.
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