L’assegno di mantenimento e quello di divorzio nei confronti dell’ex coniuge vengono entrambi riconosciuti a beneficio della parte economica più debole, ma la loro differenza è sostanziale. Tale diversità riguarda non solo la fase processuale in cui gli stessi vengono richiesti, ed eventualmente concessi dal giudice, ma soprattutto la motivazione giuridica ad essi sottesa.
Differenze tra assegno di divorzio e assegno di mantenimento
Gli assegni di divorzio e di mantenimento devono essere tenuti distinti dall’assegno per gli alimenti, riconosciuto al coniuge quando questi versi in un grave stato di bisogno e non sia in grado di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento economico (il c.d. minimo vitale). L’assegno di mantenimento, che viene richiesto durante il procedimento di separazione consensuale o giudiziale), ha, infatti, come scopo principale quello di garantire all’ex coniuge economicamente debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Tale finalità è stata, pertanto, prevista dalla legge come una sorta di “regime transitorio”, non destinato a durare per sempre nel tempo, dunque come sussidio pecuniario e simbolo di solidarietà di fronte al dissesto economico conseguente alla rottura del ménage coniugale.
All’assegno di divorzio, invece, si riconosce una natura diversa e ulteriore, oggetto peraltro di ampi dibattiti in giurisprudenza. A partire dal 1990 è stato, di fatto, attribuito all’assegno divorzile la precipua, se non unica, finalità assistenziale: la Suprema Corte ha stabilito che è presupposto fondante il diritto del coniuge economicamente debole il fatto di non avere mezzi adeguati al proprio sostentamento. A tal fine la Giurisprudenza di legittimità applicava all’assegno di divorzio la medesima natura giuridica dell’assegno di mantenimento, facendo leva sul criterio del “precedente tenore di vita”.
Di quali indici il Legislatore tiene conto oggi nel decidere se assegnare o meno l’assegno divorzile?
Solo nel 2017, ben 27 anni più tardi rispetto al precedentemente orientamento, la Sezione I della Cassazione civile, con la pronuncia n. 11504/2017, abbandonava il criterio del tenore di vita, affermando che il giudice, nel decidere se assegnare o meno l’assegno divorzile, dovesse necessariamente verificare in concreto che l’ex coniuge economicamente più debole fosse autosufficiente, tenuto conto di alcuni indici, quali:
- Il possesso di redditi di qualsiasi specie;
- Il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari;
- La capacità effettiva di prestare attività lavorativa;
- La stabile disponibilità di un’abitazione.
Ad oggi, il criterio utilizzato nel riconoscimento dell’assegno di divorzio è quello sancito nella Sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite dell’11 luglio 2018 (n. 18287), la quale afferma che il Legislatore riconosce all’assegno divorzile non solo una funzione meramente assistenziale, bensì “compensativa e perequativa” (abbiamo parlato della Sentenza Grilli qui). In altre parole, il Giudice nell’assumere la propria decisione, per evitare che vi siano ingiusti arricchimenti a beneficio dell’ex coniuge economicamente più debole e a discapito dell’ex coniuge benestante, deve verificare la sussistenza di determinati presupposti e circostanze, che a titolo esemplificativo qui brevemente si elencano:
- Se ci sia una disparità economica tra gli ex coniugi;
- Se la disparità sia dovuta ad una scelta di vita in comune operata dai coniugi durante il matrimonio;
- Se questa scelta pregiudica le possibilità professionali o economiche del coniuge economicamente debole: per esempio, il giudice si chiederà se nonostante la scelta di non lavorare del coniuge per badare ai figli, sia impedito del tutto al coniuge di poter trovare un’occupazione anche part-time.
- Il giudice dovrà valutare l’età del coniuge e la propria capacità lavorativa, anche con riferimento al fatto, a titolo esemplificativo, che i figli siano occupati nella frequenza scolastica per buona parte della giornata o che il coniuge economicamente debole possa iscriversi a centri di collocamento per la ricerca di un impiego;
- Il giudice dovrà, altresì, valutare la durata del matrimonio e il contributo personale dato dal coniuge alla formazione del nucleo familiare.
Questo criterio, ormai cristallizzato a partire dal 2018, permette una più giusta ed equa valutazione degli assegni divorzili, puntando tutto sul principio di autoresponsabilità e autodeterminazione dei coniugi, che sono pertanto chiamati a valorizzarsi e a valorizzare il nucleo con una propria condotta attiva, scongiurando condotte opache ed evitando così che il coniuge più debole riversi totalmente su quello più abbiente le proprie aspettative economiche. Ci sono, tuttavia, alcune ipotesi in cui l’assegno divorzile non è mai dovuto all’ex coniuge, di seguito qualche esempio:
- Quando l’ex coniuge dimostri pervicacia nel mantenere il proprio stato di disoccupazione, per scelta personale, senza aver tentato di trovare un’occupazione;
- Quando il matrimonio abbia avuto una durata irrisoria (c.d. ‘matrimonio lampo’), in quanto si ritiene che non vi siano stati affidamenti e aspettative patrimoniali tra i coniugi;
- Quando l’ex coniuge svolga lavoro in nero;
- Quando l’ex coniuge abbandoni il tetto coniugale o si renda responsabile di maltrattamenti in famiglia o condotte violente in genere;
Cosa accade all’assegno di divorzio in caso di perdita del lavoro o di nuova occupazione dell’ex coniuge?
In ogni caso, la perdita del precedente lavoro o una nuova occupazione da parte di uno degli ex coniugi, determina la modifica delle rispettive posizioni economiche, a cui consegue una nuova situazione patrimoniale che indubbiamente legittima la modificazione della somma dell’assegno divorzile. Infatti, non solo – per legge – gli assegni devono essere rivalutati annualmente e in baseagli indici ISTAT, ma gli stessi sono suscettibili di aggiustamenti del caso: per esempio, a seguito di licenziamenti, nuove assunzioni, aumenti o decurtazioni degli stipendi, attribuzione di benefit.
Così, allo stesso modo, nel caso di un peggioramento delle condizioni patrimoniali del coniuge obbligato al versamento, è possibile chiedere parimenti una rimodulazione delle somme dovute ai figli. È, infine, onere a carico di chi chiede la modifica della somma dell’assegno divorzile dare la prova delle intervenute circostanze e allegare i documenti dovuti.
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